lunedì 24 gennaio 2011

Vallanzasca: lucida follia

Lucida follia, di questo si tratta. E’ il tema attorno al quale ruota tutto il film, oltre la vita del vero Renato Vallanzasca, nonché la sola giustificazione che lo spettatore può dare alle scene che si succedono nella prima parte della pellicola, almeno fino a quando non ci si ambienta e si riesce a intravedere anche il lato sensibile (ben nascosto, dobbiamo dire!) di un criminale senza scuse.
Ed è proprio follia quello in cui si trasforma la bravata di quattro ragazzini quando, per liberare una tigre in gabbia nel circo vicino casa (periferia di Milano), danno il via ad una serie, allora insospettabile, di efferati eventi. Il fatto che vengano trascinati in un carcere minorile è il primo step di riflessione a cui ci porta Vallanzasca: gli angeli del male, nuovo film di Michele Placido. E’ infatti folle che dei bambini per una cosa del genere finiscano in uno di quegli ambienti che possono segnarti a vita; ed è questo che succede. I quattro ancora più uniti e (forse) motivati iniziano, una volta usciti dalla prima precoce esperienza “dietro le sbarre”, a compiere una serie di piccoli crimini (come furti per negozi di quartiere) che li porterà alla convinzione che il crimine paga davvero. Passano pochi anni ed il gruppo si allarga fino a diventare una vera e propria banda, dove i furtarelli diventano rapine, sequestri, omicidi in un climax di violenza nel quale ci si ritrova immersi senza nemmeno accorgersene. Ed è proprio il trovarsi catapultati nella violenza selvaggia senza capire come e perché l’unica pecca che ci sentiamo di imputare ad un film che nel complesso è ben sceneggiato e ben recitato (davvero ottima l’interpretazione di Kim Rossi Stuart nei panni del “boss della Comasina). Buone anche le interpretazioni di Paz Vega, nel ruolo di Antonella D’Agostino, la “sorella di una vita”, di Valeria Solarino (Consuelo), compagna di Renato dalla quale avrà anche un bambino, e di Filippo Timi (Enzo), bravo nel farci entrare nella testa contorta di un criminale sconvolto dal continuo uso di armi e stupefacenti, meno entusiasmante quando però si tratta di esternare il dramma interiore di una vita vissuta in funzione di un amico/fratello/capo che forse non riesce né ad amare né ad odiare fino in fondo.
Si arriva poi a discutere di come viene descritto Renato Vallanzasca, punto che ha suscitato molte critiche quando il film, tratto dal libro “Il fiore del male” di Carlo Bonini e Renato Vallanzasca e da  “Lettera a Renato” di Renato Vallanzasca e Antonella D`Agostino, venne presentato fuori concorso al Festival di Venezia. Nonostante la faccia da bravo ragazzo che Kim Rossi Stuart mette al servizio di Michele Placido il film non celebra né condanna le gesta del famoso criminale; lo stesso regista alla presentazione conferma che in questo film non troverete la verità sul caso Vallanzasca. Perlomeno non ne troverete una sola. Perché questo è un film non un`inchiesta. Non condanna. Non assolve. Racconta una storia. La storia di una banda, la storia di una Milano che non esiste più, ma restano veri e crudi il dolore di chi ha subito queste violenze”.
In questa pellicola va infatti in scena uno spietato teatro dell’assurdo che prova a dare un’idea di chi era uno dei più “strafottenti” banditi della storia italiana senza però darne un giudizio che abbia il sapore né di elogio né di condanna; sta allo spettatore rabbrividire o sorridere quando il bandito, sempre pronto a ribadire che le armi non vanno usate per sparare ma per spaventare, in un’intervista rilasciata ad una radio popolare si descrive dicendo:  “non è che sono uno cattivo, è che ho il lato oscuro un po’ pronunciato!”.

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