lunedì 23 aprile 2012

Hunger: sfavillante esordio di Queen

Camera d’Or (miglior opera prima) a Cannes 2008, Hunger è il film-manifesto di un artista e cineasta da tenere d’occhio: Steve McQueen. Un’opera cruda, dura, che fa accapponare la pelle e sciaborda lo stomaco. Uno di quegli esordi potenti e prepotenti come se ne vedono pochi in giro. Sintomo di una cifra stilistica confermata dal successivo Shame, che ha inibito ed “eccitato” Venezia 2011. Con quattro anni di ritardo, da oggi è nelle sale italiane distribuito da Bim. Non perdetelo.



Irlanda del Nord, 1981. Nel carcere di Maze, i detenuti dell’IRA (Irish Republican Army) vogliono essere riconosciuti dal governo inglese con lo status di prigionieri politici, oltre che veder rispettati i diritti elementari dell’uomo. Ma l’istituzione fa orecchi da mercante e continuano ad essere (mal)trattati come cani selvatici denutriti e bastonati. Così danno origine alle proteste “della coperta” e “dello sporco”. Tutto tace, finchè Bobby Sands (Michael Fassbender) decide di dare inizio ad un lungo sciopero della fame. Sarà il primo di 9 morti…
Hunger è un’opera artistica completa, variegata e composita a livello tecnico, che non dimentica l’emozione. Un’opera che coinvolge tutti e cinque i nostri sensi. In primis, è scontato, la vista. Ma non solo perché il cinema è in prima battuta sguardo, ma perché McQueen è Cinema. Il regista londinese sa cosa farsene della mdp. Con eclettismo e consapevolezza ne fa un uso maturo e mirato, che non lascia niente al caso, ma punta tutto sul coinvolgimento dello spettatore. E’ così che sfuoca e rifuoca i volti, che palesa la sua presenza di fianco a carcerati e agenti penitenziari ricevendo “in faccia” sgabelli e schizzi d’acqua insanguinata, che ondeggia come un diabolico pipistrello nel “lazzaretto” di Bobby mentre la fine si avvicina, che giustappone uno di fianco all’altro piani ravvicinat(issim)i e campi lunghi geometrici, ortogonali, asettici. Convivenza degli opposti che ritorna poi nel montaggio. Quest’ultimo è forsennato, spezzato e claudicante nelle scene di punizione corporale, inesistente nel lunghissimo pianosequenza (della durata di più di 20 minuti) a macchina fissa tra Bobby e il cappellano del penitenziario. Steve McQueen non ha fretta, ci invita ad attendere, osservare, partecipare morbosamente. Ci sfida, fino a generare in noi, suo fine primario nei nostri confronti, un fastidio che prude nell’anima.
La vista è quindi porta d’accesso verso gli altri sensi.
Come in una sorta di imprigionato 4D, il secondo senso colpito è il nostro olfatto. Tramite la dimensione visiva, percepiamo il cattivo odore di una cella con i muri cosparsi di poltiglia, sbobba organica alimentare, come in un quadro appartenente al cubismo sintetico. La mdp scorre in soggettiva sulle pareti, forzando la nostra “immedesimazione”. Allo stesso modo percepiamo l’aspro e asciutto fetore di scodelle di urine rovesciate, al momento stabilito, in un corridoio che non conosce luce del sole.
Colpite le narici, attacca il gusto. Quasi sentiamo sulle labbra il sapore-non-sapore di un cibo immangiabile, così come la salata dolcezza del sangue che esce da un labbro spaccato da una manganellata.
E’ poi il momento del tatto, coinvolto nella manìa che il regista britannico ha per i dettagli. Il fiocco di neve che s’adagia su una mano con nocche e giunture sbucciate a suon di pugni “vuoti” su spigoli murari, il moscone (simbolo di libertà agognata) che tranquillo si posa e poi sfugge dalla mano del detenuto, una piuma che “galleggia” nell’aria come un petalo che si stacca da una rosa/vita moribonda, le piaghe sulla schiena di Bobby sulle quali si spalma una pomata bianca e dolorosa.
Infine, ultimo ma non ultimo in ordine d’importanza, anzi tutt’altro, è l’udito. Sin dalla prima sequenza, notiamo la straordinaria attenzione che McQueen dedica al sonoro, al suo studio, al suo effetto sullo spettatore. E’ invasivo, aggressivo, netto, tagliente, roboante, cassa di risonanza anche dei gesti più silenziosi (come il ronzio del neon acceso o la mano del prigioniero che striscia sulla camicia mentre cerca di sbottonarla di fronte alla grigia presenza di guardie immobili). Di musica ce n’è ben poca traccia.
Dal punto di vista contenutistico, sono due gli elementi più interessanti da segnalare. Il primo è la componente cristologica nel “martirio” di Bobby e dei suoi “discepoli”. Le guardie trascinano i corpi dei detenuti come pelli di leone, mazzuolano con veemenza come in attesa di una “corona di spine”, riportano in cella le loro membra esauste con braccia “in croce” come dimenticati Christus patients o in collo come sdivinizzzate Pietà.
Il secondo è, pur di fronte a tutta questa disumanità dei gesti, la profonda umanità che si riserva per ogni categoria umana messa in scena. Non solo, come è scontato che sia, verso i detenuti. Ma anche verso un agente penitenziario che teme di uscire di casa ogni santa mattina e che, rassegnato e solo, immerge in acqua gelida le mani dilaniate. Oppure verso un militare che piange e si pente delle manganellate e urla lanciate nel furore della repressione poco prima portata a termine. E’ un’umanità dolorosa, sofferente, vinta e sconfitta dal sistema, che merita perdono. Le tinte più nere spettano alle istituzioni, personificate dai discorsi parlamentari di Margaret Thatcher, donna d’acciaio che condanna chi fomenta tensioni sociali solo in nome dei diritti elementari.
Infine, è grande e grandiosa la performance attoriale e fisica (nel senso letterale del termine) di Michael Fassbender. Una prova sentita e amata, che giunge fino alle viscere dello spettatore.

giovedì 12 aprile 2012

Diaz: don't clean up this tragedy

Era il 21 luglio del 2001, tra le 22 e la mezzanotte, quando il sesto reparto mobile delle polizia di stato irruppe nella scuola Diaz, divenuto all’epoca centro del coordinamento del Genoa Social Forum. Quello che ne seguì è stato definito da Amnesty International come “la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale”. Diaz – Don’t Clean Up This Blood di Daniele Vicari parte da qui per confezionare il primo film di finzione sui fatti di Genova.


 
Giocato sui movimenti di macchina e sulla cura del montaggio, il lungometraggio può fregiarsi di un ritmo veloce e di una grande solidità visiva, di una volontà di perfezionismo che sembra quasi voler nascondere il giudizio personale su un evento della nostra storia recente tanto doloroso. Quella dell’oggettività del resto è una scelta già presente nella stesura dello script: Vicari e la co-sceneggiatrice Laura Paolucci decidono, infatti, di puntare su una storia corale, offrendo allo spettatore la possibilità di “vedere” le ragioni di tutti i protagonisti presenti quella sera, dalla polizia ai Black Block, dai giornalisti ai manifestanti fino a chi, in quell’evento, c’è finito per puro caso.
Una storia di violenza resa in tutta la sua crudezza attraverso immagini talmente forti da respingere lo sguardo dello spettatore. Si assiste ad uno spettacolo di morte ed orrore, ad una violenza che non è solo fisica, ma anche psicologica. Perché i colpi più feroci arrivano tra le mura della caserma di Bolzaneto con donne costrette a ballare nude e uomini forzati a manganellate a stare a quattro zampe, come dei cani. In breve, ci troviamo catapultati in un film horror in cui è lecito domandarsi se i fatti siano andati realmente così. La risposta si ha subito dopo i titoli di testa, quando una scritta avverte che la sceneggiatura è basata sugli atti del processo. Eppure è difficile crederlo. È difficile immaginare che azioni tanto infami siano state compiute poco più di dieci anni fa in Italia.

venerdì 9 marzo 2012

Ghost Rider: Spirito di Vendetta. L'eroe centauro della Marvel è tornato


Dopo aver affrontato demoni di ogni specie in sella alla sua potentissima motocicletta nel film datato 2007, il famigerato Jhonny Blaze è tornato sulla scena…e soprattutto sugli schermi!
Dal 23 Marzo uscirà infatti al cinema l’attesissimo sequel di Ghost Rider, ovviamente interpretato ancora da un Nicholas Cage in una forma strepitosa ed accompagnato dalla sua inseparabile compagna a due ruote.
In questo nuovo capitolo della saga, Johnny è ancora alle prese con la maledizione del cacciatore di taglie del diavolo, ma dopo l'incontro con il leader di un gruppo di monaci ribelli (Idris d’Elba), sembra disposto a tutto pur di salvare un ragazzino dalle grinfie del diavolo, e liberarsi una volta per tutte dalla maledizione che lo perseguita.
L’italiana e vivace Violante Placido prende il posto dell’altrettanto bellissima Eva Mendes che ci aveva deliziato nel primo capitolo, interpretando il ruolo di Nadya, madre del piccolo Danny, oggetto del desiderio del demone Roarke.
Ghost Rider: Spirito di Vendetta rappresenta così ancor più spettacolarmente del primo film il centauro eroe Marvel, attraverso sequenze mozzafiato e riprese sempre dinamiche e convincenti; già dal trailer (che troverete qui sotto!) si capisce che dal primo minuto del film ci si ritroverà subito proiettati all’interno di una storia dalla narrazione fittissima e ricca di colpi di scena. La regia, passata da Mark Steven Johnson alla coppia Neveldine-Taylor (autori dei due action cult Crank, e di Gamer), risulta infatti brillante e con un’impeccabile resa scenica che punta forse più a valorizzare l’aspetto horror della storia puntando anche ad un  maggior coinvolgimento emotivo



Da segnalare inoltre l’inaspettato cameo di Christopher Lambert nei panni di uno dei monaci e l’ottima interpretazione di Idris Elba come loro capo.
Il film è (ovviamente!) disponibile anche in 3D.


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martedì 6 marzo 2012

Posti in piedi in paradiso: stiamo vivendo o sopravvivendo?

L’Italia dei disastrati. Nel nuovo film di Carlo Verdone si racconta un Paese sospinto nel purgatorio del 20 del mese, quando non c’è più un euro e si fatica ad andare avanti, rinunciando perfino alla carne. Il governo Monti, sobrio ma composto di gente facoltosa, fatica ad accorgersene, invece il sessantenne comico romano sa benissimo che si vive male, che molti vivono male. Ecco, allora, l’idea di piazzare nel suo “Posti in piedi in Paradiso”, al cinema dal 2 marzo in 650 copie by Filmauro, tre padri separati ridotti in miseria da scelte professionali sbagliate, da vizi e leggerezze, anche dalle pretese delle loro mogli alla voce “alimenti”.



«Questi padri separati sono un’emergenza sociale, rappresentano una nuova categoria di poveri» sostiene Verdone. Giovedì sera, all’anteprima a inviti all’Auditorium, il regista s’è ritrovato seduto accanto il ministro Corrado Passera. Il quale, alla fine del film, avrebbe se non altro riconosciuto che le cose stanno proprio così. Il giorno dopo, incoraggiato dai primi commenti positivi, Verdone spiega: «Penso che si debba fare cinema, anche di intrattenimento, guardando alla nostra realtà. La sfida del film è semplice: raccontare alcuni aspetti tutt’altro che comici di questi anni italiani, ma cogliendo dettagli e situazioni utili a portare la storia nel campo della commedia».

In effetti la sfida c’è. Gli incassi record delle nostre commedie, spesso fatue ed evanescenti, sembrano andare da tutt’altra parte. Sul film di Verdone, peraltro, gravano le attese spasmodiche del produttore Aurelio De Laurentiis, reduce da un’infilata di insuccessi. Eppure “Posti in piedi in Paradiso” ha le carte in regola per piacere al grande pubblico: fa ridere, anche molto in certi momenti, senza rinunciare, in linea con un certo ragionevole pessimismo del suo autore, per quanto ammordibito nel finale di speranza, a dirci che il riscatto non può che essere individuale, perché la politica ha smesso di dare speranze. La controprova? Rivela Verdone esibendo il suo romanesco migliore: «Lo sa che mi ha detto il fioraio ieri? ‘Sti tecnici ce stanno a ridurre sul lastrico, ma Monti me piace, perché nun ride. Infatti nun ce sta niente da ride».

Del resto la frase che più risuona nel film è: «Ma che vita da miserabili!». Sottratti ai loro abituali standard di vita, Ulisse Diamanti, Fulvio Brignola e Domenico Segato, cioè Verdone, Pierfrancesco Favino e Marco Giallini, si ritrovano a mettere insieme 250 euro a testa per sopravvivere in un triste appartamento scosso più volte al giorno dal passaggio della metropolitana. Ulisse era un discografico di punta, ma ora vende vinili vintage e memorabilia rock; Fulvio un critico cinematografico stimato, ma ora si occupa di gossip, per la serie «chi c’era alla festa, chi non c’era, chi se l’è fatta, chi si è rifatta»; Domenico un ricco imprenditore in campo immobiliare, ma ora, diviso tra due famiglie, trangugia pillole blu per soddisfare ricche signore attempate.

Spiega Verdone: «Lo so, sulla carta il soggetto poteva sembrare poco adatto al sorriso. Eppure la convivenza forzata dei tre, costretti a dividere quel modesto appartamento, mette in risalto le differenze caratteriali, le tipologie maschili. Sono circondato da amiche disarmate di fronte a uomini magari di valore, ma perlopiù fragili, poco affidabili, mai autorevoli, che decidono di non decidere mai». Donne come la bella cardiologa, svampita e generosa, terrorizzata dalla parola “incomunicabilità”, che Micaela Ramazzotti sullo schermo incarna con distratta sensualità.

Nel film ce n’è per tutti, sul piano dello sfottò, e naturalmente i cine-giornalisti si divertiranno a cogliere i riferimenti al loro mondo nel ritratto impietoso di Fulvio. Uno che sfrutta il numero di cellulare di Gabriele Muccino per rimorchiare un’aspirante attricetta assai disinvolta, che si butta avidamente sui panini alle conferenze stampa in puro gusto “Cafonal”, uno che vede Orson Welles in tv ma si sente come in una commedia di De Filippo.

giovedì 1 marzo 2012

Guardare oltre i limiti (del cinema italiano)

Il successo al botteghino del film di Fausto Brizzi Com’è bello far l’amore è un’ulteriore conferma che i film italiani di maggior successo appartengono tutti allo stesso genere, la commedia. Pur differenziandosi dai famigerati panettoni, caldarroste matrimoniali intrise di volgarità gratuita che finalmente il pubblico sembra gradire sempre meno, e lo dimostrano i risultati deludenti di film come Finalmente la felicità di Leonardo Pieraccioni e Vacanze a Cortina della premiata ditta Neri Parenti, è ancora presto per gridare al cambiamento, alla fine di un certo tipo di commedie in favore di altre più garbate e sofisticate.


Sorvolando sulla scelta della terza dimensione, del tutto inutile per una commedia se non per far lievitare il prezzo del biglietto, restano infatti ancora grandi le distanze tra la nuova commedia italiana e quella dei tempi d’oro, capolavori di comicità e, nello stesso tempo, drammaticità, capaci di farti ridere a crepapelle ma che riuscivano a trasmetterti qualcosa, ti rimanevano dentro senza lasciarti più. I nuovi comici italiani propongono personaggi più evoluti e dinamici rispetto alla ripetizione ossessiva degli stereotipi dell’italiano medio messi in scena per oltre due decenni da Boldi e De Sica ma, a parte rare eccezioni, spesso scadono troppo nel macchiettismo e nel caricaturale.

Non aspireranno ad entrare nella storia del cinema o ad oltrepassare i confini nazionali ma il collage di banalità, gag demenziali, dialoghi non particolarmente vividi ed originali, e happy-end scontati di una certa commedia in Italia continua a piacere al pubblico, che vuole e cerca un cinema d’evasione, e a tenere a galla l’industria cinematografica nazionale, ormai pilotata da logiche di mercato invadenti che inducono a fare cinema un po` più “semplice” e di rapido consumo.

Che non è per forza di cose da buttare se non fosse che ormai la nostra cinematografia dipende sempre più da certi prodotti relegando ai margini del circuito cinematografico i film d’autore che, contrariamente a quanto avviene all’estero, proprio per le chiusure del mercato, non sempre godono di grandi distribuzioni. Ma il cinema non è solo una questione di business e lo sanno bene due cineasti non allineati come Paolo e Vittorio Taviani, vincitori dell’Orso d’Oro all’ultimo Festival di Berlino con Cesare deve morire, un film low budget interamente girato in un carcere e centrato su uno spettacolo teatrale dei detenuti di Rebibbia sotto la supervisione del regista teatrale del carcere Fabio Cavalli. Un grande esempio di cinema di qualità capace di sfornare un prodotto che non è fine a se stesso, slegato dalle logiche produttive di un’industria che tende sempre più a massificare il grande pubblico, quello che in termini di ricavi conta davvero.

Come ammettono gli stessi fratelli Taviani in conferenza stampa di presentazione del film, nelle sale da venerdì scorso, “le società cinematografiche di casa nostra, a quest`opera così particolare non hanno creduto. Tanti hanno visto il nostro lavoro, nessuno lo voleva: Nanni Moretti invece ci ha detto subito sì". E il film vola anche all’estero. Non c`e` che dire, una bella lezione per il cinema italiano.

Cinemonitor.it

sabato 25 febbraio 2012

Scopri il J Challenge di Jeep

Il concorso coinvolge la web community di Italia, Francia, Spagna, Germania, Olanda, Polonia, Svizzera, Austria e mette in palio il "J Day" - un’esperienza sul circuito off-road di Balocco - e la possibilità di aggiudicarsi la nuova serie speciale Jeep® Wrangler Arctic!
Tutti i partecipanti possono andare alla ricerca del proprio "J factor" misurando il loro livello di affinità con i 5 valori del marchio Jeep: unicità, passione, avventura, libertà, autenticità.
Il gioco, attraverso 5 semplici prove, infatti, sfida gli utenti a mettersi alla prova attraverso le attività che questi svolgono abitualmente sul web e sui principali social network tra cui Facebook, Twitter, Instagram, FourSquare, Tumblr.




Alla fine di ogni prova l'utente con le proprie passioni è protagonista di un micro-film personalizzato: ogni video infatti è un capitolo dell'avventura dei partecipanti, sulle tracce di un essere misterioso e leggendario.
Un viaggio unico nel quale ognuno scoprirà di portare con sé, a bordo di Wrangler Arctic, le proprie passioni per vivere un’autentica esperienza Jeep.. che potrà diventare realtà!

giovedì 16 febbraio 2012

Autori da paura: rassegna del nuovo cinema horror italiano


Parte martedì 21 febbraio 2012 la rassegna Autori da Paura, dedicata al nuovo cinema horror italiano organizzato dalle cattedre di Teoria e tecniche della regia e Linguaggi e formati del cinema e dell'audiovisivodel Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza Università di Roma, in collaborazione con Nuovo Cinema Aquila di Roma, InGenere Cinema, (www.ingenerecinema.com),  portale del cinema di genere, HorrorMovie, (www.horrormovie.it), sito dedicato al cinema horror, Horror Project, collana editoriale dedicata alla saggistica e alla letteratura horror, e con il programma radiofonico Ogni Maledetta Domenica – segnali di cinema indipendente, in onda ogni domenica alle ore 16 su Radio Città Aperta.
 Durante la rassegna, che si concluderà il 29 marzo, saranno proiettati 7 film di recente produzione al termine dei quali ci sarà il dibattito, introdotto da Giovambattista Fatelli, Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, ai quali saranno presenti i registi, moderati da Luca Ruocco, fondatore e direttore del portale InGenere Cinema, Roberto Giacomelli, caporedattore di Horromovie.it e Daniele Francardi, direttore responsabile della collana Horror Project.
 Si comincia la prossima settimana con due filmMartedì 21, alle ore 17, sarà proiettato Frammenti di scienze inesatte, di Stefano Bessoni. Il film narra di Zacchìa, un medico che dirige una piccola scuola di medicina e scienze naturali dove si insegnano materie insolite come, la tanatologia, la zoologia apocrifa e la scultura tassidermica, che nasconde un segreto.
Oltre al regista, saranno presenti: Leonardo Cruciano, effetti speciali, Federico Di Trocchio, Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale, Roberto Giacomelli, Horrormovie e Daniele Francardi, Horror Project.
Venerdì 24 febbraio, sempre alle ore 17, sarà la volta di Morituris diretto da Raffaele Picchio, Il film parla di tre giovani che conoscono due ragazze in discoteca e le convincono a seguirli in una zona fuori Roma per partecipare a un rave party. Giunti sul luogo, i cinque non trovano nessun party e, convinti di essere arrivati troppo presto, accendono un falò cominciando a fare baldoria. Ma qualcuno o qualcosa li osserva, pronto a scatenare tutta la sua violenza.
Assieme al regista, ne discuteranno: Giovambattista Fatelli, Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale e Gianluigi Perrone, sceneggiatore, e redattore di “Taxi Drivers”.

Le proiezioni continueranno durante il mese di marzo, con appuntamento fisso il giovedì. Questo l’elenco dei altri film in programma:

·      Villa, di Calogero Venezia, 2008, 80’
·      Monkey Boy, di Antonio Monti, 2009, 79’
·      Ubaldo terzani horror show, di Gabriele Albanesi, 2010, 83’
·      Occhi, di Lorenzo Bianchini, 2010, 70’
·      Krokodyle, di Stefano Bessoni, 2011, 91’