mercoledì 5 ottobre 2011

La famiglia Simpson in crisi? Motivi e numeri del calo d'ascolti

Un Natale da cani, era il titolo della prima puntata. Ma ora i Simpson rischiano di passarlo davvero. Anche se da quel debutto sono passati più di vent’anni, carichi di risate e riconoscimenti. Pare che il buon Homer abbia fatto il suo tempo. Quattro milioni di telespettatori in meno tra la prima e la diciassettesima serie sono un saldo che non lascia scampo. Neanche nell’immaginario microcosmo di Springfield. Al tempo di South Park, Griffin & C. quel vecchio humor caustico e politicamente scorretto non scandalizza più nessuno. Perché - diciamolo, Bart - «ciucciati il calzino» ormai è una carezza, rispetto allo slang che vomitano i teleschermi di mezzo mondo.


Ma la realtà deve aver davvero superato la finzione, se la famiglia Simpson passa inosservata. Perché quei musi gialli - appositamente disegnati così da Matt Groening per far credere agli spettatori che si trattasse di un guasto alla tv - sono stati dei veri eversori catodici. Hanno cambiato tutto: palinsesti, costume, linguaggio. Hanno trasformato i cartoon in una sit-com da prima serata.
La crisi non risparmia nessuno, nemmeno gli abitanti di Springfield: creata dalla penna del fumettista Matt Groening, la cittadina in cui si ambienta il cartoon I Simpson rischia di sparire, con tutti i suoi abitanti, dal palinsesto della tv Usa.
Un duro faccia a faccia si sarebbe svolto lunedì scorso tra i doppiatori della serie e i produttori dell’emittente Fox, che per far fronte alla crisi avrebbe imposto un radicale taglio delle spese al programma. Tradotta in termini contrattuali, la misura provocherebbe la riduzione del 40% dello stipendio delle sei voci dei personaggi principali, attori che dal 1987 a oggi su I Simpson hanno costruito un impero. Retribuiti con uno stipendio di circa 8 milioni di dollari per 22 settimane di lavoro all’anno, ma esclusi dal ricco mercato del merchandising, i doppiatori avrebbero controproposto alla rete una riduzione del cachet del 30%, in cambio di una percentuale sui ricavati dei gadget del cartoon. La rete, secondo voci interne al programma rimbalzate ieri sul web, avrebbe negato la possibilità di una negoziazione: «Se non riuscirà a tagliare drasticamente il costo dello show, la Fox lo chiuderà. Il merchandising de I Simpson ogni anno porta in cassa miliardi, e continuerà a farlo anche senza nuove puntate». La crisi più grave che si è abbattuta su Springfield, però, non è di natura economica ma creativa. Da anni in calo di popolarità, I Simpson sono passati da una media di 13 milioni di spettatori della prima serie ai 9 milioni della diciassettesima, e la tendenza sarebbe in discesa.
«Le ultime tre stagioni sono tra le peggiori mai prodotte», ha detto il doppiatore Harry Shearer, voce di Montgomery Burns, dopo che nel 2003 fu pubblicata la lista degli episodi preferiti dai fan: in classifica non c’era nemmeno una puntata andata in onda dopo il ‘97. Quanto all’autore Matt Groening, serenamente a capo di un impero di pupazzi, cd, videogiochi e persino una marca di birra, si potrebbe andare avanti all’infinito: «Onestamente - dice da vent’anni a questa parte - non vedo una possibile fine all’orizzonte».

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